La vita non è il calcio… e però il calcio è vita

In giro per Rovigo mi capita di incontrare qualche ragazzo che diversi anni fa ha giocato a calcio nelle giovanili del Duomo, distinguendosi per abilità, grinta, passione e voglia di emergere. Quante partite vinte, quanti gol, quante emozioni e quanti sogni. Poi la chiamata di qualche società professionistica, inizia il sogno della serie A e il Duomo rimane senza il suo campioncino, si vince di meno, ma soprattutto manca chi trascinava partite ed allenamenti, rendendo tutto più facile.

Ogni tanto per qualche partitella informale ricompare “il campioncino” di allora, e ti accorgi che è cambiato: cresciuto come ovvio, ma è anche diverso per come è pettinato, come corre, come si veste, diverso persino per come parla e come sorride.  Si ferma un poco a parlare e ti racconta di interminabili viaggi in pulmino, di allenamenti durissimi, di tornei magari all’estero, e anche della scuola a cui ha potuto dedicare poco tempo e poco impegno, fino ad inciampare perdendo qualche anno. Ti racconta che per ora le cose vanno, ma appena sarà in età da Primavera, forse arriveranno alcuni prestati dall’Inter o dal Milan e probabilmente dovrà trasferirsi in una vicina società di eccellenza o promozione: ancora viaggi e allenamenti 4 o 5 volte la settimana, per cinquecento euro al mese. La serie A sarà solo un sogno svanito.

E tu non puoi che andare velocemente col pensiero a qualcuno, decisamente più scarso a calcio e rimasto a giocare al Duomo, che promosso con 100 si è da poco iscritto all’Università. E non puoi fare a meno di ammettere dentro di te che, cavolo, la vita non è il calcio.

E per evitare di cadere nella malinconia e pensare che sia stato tempo buttato, provi a ricordare i bei momenti passati insieme sul campo: quando bisognava sostituirlo contro le squadre più scarse per evitare di dilagare con i gol, quando mentre tutti facevano uno contro uno, lui faceva due contro lui, ricordi quel gol al volo all’ultimo minuto contro il Rovigo, quel campionato perso solo per colpa dell’arbitro. Ma con un po’ di sforzo ricordi anche il modo in cui colpiva la palla di testa o tirava le punizioni, qualche acrobazia che lo caratterizzava, quel suo sorriso stanco ma felice dopo la partita magari anche solo pareggiata, ricordi come trattava i compagni, bravi o brocchi allo stesso modo, il dispiacere con cui se ne era andato, il vuoto che aveva lasciato nella squadra.

E ti vengono in mente quanti hanno sognato con lui e dopo di lui la serie A. E quanti oggi al Duomo, guardando una vecchia foto, o discutendo dopo una partita di calcetto tra vecchi amici, si ricordano di quel ragazzo! E allora è vero che la vita non è il calcio, ma il calcio è sicuramente vita: è vita un rigore battuto, una rimonta che sembrava impossibile, un gesto tecnico perfettamente riuscito, l’abbraccio dei compagni, il sudore che scende sugli occhi, la pioggia che cade e la palla che arranca, la sensazione di non farcela quasi più. È vita anche perdere, e perdere ancora e provare a fermare le sconfitte. È vita anche ricordare insieme, momenti felici e momenti difficili.

Qualcuno una sera, sempre dopo una partita di calcetto e qualche birra, mi ha detto che quelli che giocano a calcio hanno qualcosa in più di quelli che non giocano a calcio. Ora, pensando alle emozioni e ai sogni che solo il calcio fa vivere, penso che probabilmente aveva ragione.